Tra le poche frasi che ricordo del latino, ce n’é una che mi piace ripetermi: “spes contra spem”.
Girando nel Web per ricercare la citazione precisa in quale libro del Nuovo Testamento si trovi, mi sono imbattuto in un quadro di Guttuso. Il quadro “Spes contra spem” venne dipinto dal pittore nel 1982 a Velate, in provincia di Varese. L’opera è allegoria della vita, ma anche della morte, della gioventù e della vecchiaia, del passato e del futuro, dei ricordi e dei progetti di Renato Guttuso.
Cosa c’entra questo quadro con il Viaggio di Papa Francesco in Iraq?
Questo c’entra perché è proprio quello che ha fatto Papa Francesco andando in Iraq, cioè ha voluto abbracciare con un abbraccio di Speranza un paese che nella sua vecchiaia/passato che è storia fatta di cronaca bella e brutta; nella sua giovinezza/futuro, cioè il desiderio di un tempo nuovo e più “creativo”; insomma si è fatto pellegrino per donare speranza con la sua presenza a questo paese.
La Cronaca del viaggio la conosciamo, ma desideriamo ripassarla un attimo:
“Tre giorni e mezzo di incontri e preghiera, dal 5 all’8 marzo, per fare “un passo avanti nella fratellanza”: quella che Papa Francesco ha compiuto in Iraq: una visita storica. La prima di un pontefice cattolico nel paese in cui nacque Abramo – la piana di Ur -, padre delle tre grandi religioni monoteiste e “pellegrino di speranza di promossa”.
Ma soprattutto è un viaggio carico di significati che si inserisce nel solco tracciato dall’enciclica Fratelli Tutti, in cui Francesco ha indicato nella fraternità e amicizia sociale le vie maestre per costruire un mondo migliore, più giusto e pacifico. Tra gli obiettivi del Pontefice quello di infondere coraggio e speranza alle minoranze cristiane – tra le più antiche al mondo – assediate e a rischio estinzione dopo anni di guerra e persecuzioni. Secondo, non meno importante, rafforzare i ponti tra il Vaticano e il mondo islamico, e il dialogo interreligioso attraverso l’incontro con uno dei leader musulmani più influenti al mondo, l’Ayatollah Ali al-Sistani massima autorità sciita. Un viaggio carico di speranze, in un paese stremato da decenni di conflitto, alle prese con una grave crisi economica, sociale e politica, Aveva detto Papa Francesco: “Il popolo iracheno ci aspetta. Aspettava San Giovanni Paolo II, quando gli è stato vietato di andare: non si può deludere un popolo per la seconda volta”.
Un viaggio vissuto in un tempo Strano: la situazione Pandemica, quindi con mascherine, distanziamenti; con il rischio di attentati che hanno imposto macchine blindate, e corridoi di sicurezza. Quello in Iraq è stato un viaggio diverso anche per i luoghi visitati.
Dicevamo, il Papa si è fatto pellegrino di Speranza e di Promessa, come Abramo che “sperò contro ogni speranza” (Rom. 4,18) si fece pellegrino verso una terra a lui sconosciuta. Papa Francesco non ha voluto siglare con un atto di potere la sua visita, ma con atti di testimonianza di un fratello che va a trovare fratelli.
Andando così a pregare per le vittime di tutte le violenze, degli attentati; andando a dare coraggio come dicevamo ai cristiani, che vivono come seme piccolo in mezzo a fratelli di altra religione; andando a incontrare chi come lui crede in un Unico Dio che ha Nome diversi ma con lo stesso significato “il Misericordioso”; andando a toccare con mano ancora una volta come fa sempre, la sofferenza dell’uomo, che soffre per una economia che strozza i poveri e lascia ancora “pasciuti” i ricchi.
Sì, Papa Francesco è il Pastore che va in cerca “di ogni pecora perduta”, di ogni pecora sofferente, mettendosi accanto e andando oltre le differenze linguistiche; sociali, culturali, religiose: mostrando che si può essere “fratelli tutti”.
Si è fatto pellegrino di speranza e di promessa, dicendo a questa terra irachena – come in ogni terra – che Dio è il Dio periferico, Colui che è IL vicino, Colui che è la Carezza sulla nostra vita tante volte afflitta:
“Egli ama fare così e stasera, per ben otto volte, ci ha detto tub’a [beati], per farci comprendere che con Lui lo siamo davvero. Certo, siamo provati, cadiamo spesso, ma non dobbiamo dimenticare che, con Gesù, siamo beati. Quanto il mondo ci toglie non è nulla in confronto all’amore tenero e paziente con cui il Signore compie le sue promesse. Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato. Il Signore ti promette che il tuo nome è scritto nel suo cuore, nei Cieli!” OMELIA DEL SANTO PADRE, Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad Sabato, 6 marzo 2021.
Carissimi amiche e amici, ringraziamo Dio per averci donato un Pastore che ci ama e preghiamo per lui, perché ancora una volta ce lo chiede: “e non dimenticatevi di pregare per me”.
Don Max