A Betlemme avviene qualcosa di straordinario. Il suo ricordo è collocato tradizionalmente nella notte: Dio eterno, infinito, ineffabile, creatore, diventa nel pieno senso del termine uno di noi, si fa uomo. L’eterno entra nel tempo, l’infinito diventa finito. Il Figlio di Dio diventa anche Figlio dell’Uomo, assume la condizione umana senza sconti. Colui che è luce da luce viene a illuminare il mondo.
Viene concepito dal grembo materno di una donna giovane e dimessa; quando viene alla luce è avvolto in fasce e accudito dall’amore di chi lo assiste nella povertà di un rifugio fortuito, trovato all’ultimo momento, dal quale dovrà pure fuggire per evitare la furia di un re che non ammetteva concorrenti al suo potere tirannico. La sua vita sarà quella di un uomo in tutto e per tutto; non irrompe nella nostra storia ma vi si sottomette percorrendo tutte le tappe e attraversando tutte le esperienze che il vivere umano comporta. Fatte salve due eccezioni: nasce da un a Vergine priva di macchia e di imperfezioni e non familiarizza in alcun modo con il peccato. Se vogliamo, le eccezioni sono tre. A differenza di quanto solitamente preferiscono gli uomini, ha scelto un’umanità fra le più misere. Per nascere nella carne, Dio non predispone per sé le fortezze regali, i palazzi degli imperatori, ma sceglie la miseria , l’oppressione, la persecuzione; si prodiga per condividere ansie, problemi, difficoltà proprie dell’umanità più debole e sottomessa…c’è chi ha scritto che se Dio avesse scelto di incarnarsi nei nostri giorni, avrebbe scelto di nascere in un barcone di migranti, in mezzo al mare o nei luoghi di povertà che non hanno spazio nella cronaca di ogni giorno ma dove la pandemia è più aggressiva per mancanza di vaccini.
Tutto ciò che riscontriamo nella sua infanzia in fatto di sottomissione, umiliazione, povertà e semplicità di vita, lo troveremo anche in ogni tappa della sua vita pubblica e soprattutto nell’ora del suo culmine inevitabile, che sarà quello di consegnarsi per noi sulla croce. Le stesse bende che avvolgono ora il Fanciullo nella mangiatoia di Betlemme le ritroveremo sparse sul pavimento del sepolcro vuoto di Gerusalemme; la stessa fuga che ora vediamo intraprendere dalla furia di Erode, la riscontreremo quando a Nazareth dovrà nascondersi per sfuggire alla sassaiola di scribi e farisei che, dopo il suo proclama messianico pronunciato nella sinagoga, volevano già eliminarlo. Lo stesso sangue esile che scorre nelle piccole membra in preda al freddo notturno scorrerà nel Getsemani accanto al sudore: era un’altra notte. Era la notte dell’abbandono e del tradimento.
Ma perché questa scelta divina di umanità? Se sfogliamo il catechismo troviamo la risposta a questa inevitabile domanda che in ogni Natale viene spontaneo porsi: Dio si è fatto uomo per salvarci e riconciliarci con il Padre, perché Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio che ha assunto un’anima e un corpo perché noi fossimo liberati dal peccato e perché fossimo partecipi della natura divina, diventando in lui e con lui figli di Dio. Non c’era infatti altra via più adeguata ed efficace se non quella dell’Incarnazione, perché l’uomo potesse familiarizzare con Dio e così diventare (in un certo qual modo) Dio egli stesso. “Dio si è fatto come noi, per farci come lui”: lo cantiamo spesso, facendo eco a una celebre affermazione di S.Atanasio: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per farci Dio”. Un altro padre della Chiesa, San Gregorio di Nissa, scrive nel suo illustre “Grande discorso catechetico”: “La nostra natura umana aveva bisogno di un medico, perché era caduta in una malattia. L’uomo caduto aveva bisogno di uno che lo rialzasse. Colui che aveva perduto la vita, aveva bisogno di colui che la dà. Colui che era chiuso nelle tenebre aveva bisogno di riavere la luce. Aveva bisogno di un redentore il prigioniero, di un aiuto l’incatenato, d’un liberatore lo schiavo oppresso sotto il gioco. Ti sembrano che siano cose piccole queste e che non meritassero d’attirare lo sguardo di Dio e d’indurlo a discendere per visitare la natura umana, quando l’umanità giaceva in uno stato infelice e miserabile?”. Questo il significato della buona notizia che gli angeli annunciano ai pastori: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, Signore”. Il debole bambino che giace nella mangiatoia è il Salvatore del mondo. Questo è l’intramontabile messaggio del Natale cristiano, senza mito né leggenda.
Con la certezza della fede che nasce dalla Parola rivelata e annunciata, possiamo affermare che se Dio ha voluto farsi uomo umiliandosi e spogliandosi della sua grandezza e vivendo le stesse esperienze di vita con noi, ciò è stato per l’amore smisurato all’umanità. Solo chi ama intensamente e senza interessi è in grado di conoscere fino in fondo i problemi, le difficoltà, le necessità della persona amata per poi agire a suo vantaggio nel modo più appropriato. Dio che è amore, appunto perché ci ama senza riserve, poteva conoscerci tutti e ciascuno fino in fondo in modo da ritenere necessario doversi incarnare per condividere le nostre ansie e le nostre lacrime e da queste risollevarci e in tanto essere per noi via alla verità e alla vita. Solo l’amore poteva fare prodigi a nostro vantaggio al punto che Dio si incarnasse in un Bambino per diventare il nostro compagno di viaggio per poi farsi nostra guida sicura e fidata. La sua importanza possiamo comprenderla con questa moderna parabola:
“Una carovana di mercanti abituati da molto tempo a percorrere insieme le lunghe piste d’oriente si preparava ad attraversare un grande e pericoloso deserto. Il percorso richiedeva una buona conoscenza dei luoghi e delle piste, delle oasi, ma anche delle abitudini degli indigeni. Così si assicurarono i servizi di una guida locale famosa per la sua esperienza. Dopo dieci giorni di rapido cammino, la colonna si arrestò contro una barriera di uomini armati, fermi attorno alla statua di una delle loro orribili divinità dall’aspetto crudele, che incombeva sulla pista. – Non potete proseguire! – gridò il capo degli uomini armati – se non sacrificate un uomo al nostro Dio! È la regola di ogni nuova luna. Se non lo farete morirete tutti qui immediatamente! –. I mercanti si radunarono e cominciarono a parlottare tra di loro. La scelta era drammatica e l’accordo molto difficile. – Noi ci conosciamo tutti
da molto tempo. Siamo parenti tra di noi. Non possiamo sacrificare uno di noi per placare questo dio! –. I loro sguardi si concentrarono tutti sulla guida… dopo avere immolato il pover’uomo, secondo il rito, ai piedi della statua, la carovana riprese il cammino. Ma nessuno conosceva la via e ben presto si persero nel deserto. Morirono uno dopo l’altro di sete e di sfinimento”.
È il mistero dell’umanità.
“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. Nella storia passata sono stati tanti quelli che hanno cercato di spegnerla, e tutt’ora c’è chi si dà molto da fare per spegnerla. Non possiamo assolutamente permetterlo: è questione di vita o di morte. Il Natale ci ricorda che questa luce deve essere ravvivata in tutti noi, per continuare a illuminare il cammino dell’umanità, soprattutto nei momenti più bui, della sua storia.
“Si è accesa una luce all’uomo quaggiù…tra noi è venuto Gesù”.
“Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore!”