Carissimi amiche e amici,
eccomi di nuovo a scrivere. A scrivere su un argomento che forse è divenuto un po’ desueto, perché è forte in noi, o meglio nell’IO il senso dei “non legami”, della “propria libertà”: l’appartenenza. Dicevo che è tanto vero questo argomento sull’appartenenza che ormai da quasi 20 anni si parla del suo contrario di “scioglievolezza” o per dirla in maniera sociologica “liquidità”. È Zygmunt Bauman che conia questo vocabolo legandolo al termine società: ‘modernità o società liquida‘. Ma cosa si intende esattamente per società liquida? “Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo – così Umberto Eco spiegava Bauman – ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità.
Anche Mons. Paglia nel suo libro “il crollo del NOI”, sottolinea questo soggettivismo esasperato, questo individualismo talvolta molto egocentrico.
In questo “mare” (che è molto liquido) di umanità, dove talvolta emerge solo il proprio pensiero privato, la propria morale privata, il proprio interesse privato, il proprio appartenersi, ho ritrovato una vecchia canzone scritta da un cantautore scomodo ma profetico: Giorgio Gaber. In una sua canzone che parlava dell’Appartenenza diceva:
Ma perché vi parlo di ciò? Perché desideriamo ribadire un concetto a tutti caro, legato (non sciolto) ad un ambiente a noi caro: l’Oratorio.
Appartenere all’Oratorio è una cosa bella. È bello far parte di una famiglia che ci vuole bene. Se ricordate la frase detta in mezzo a tante lacrime da quel ragazzo orfano della Valsesia che chiedeva ospitalità a Don Bosco in una notte piovosa, “Adesso non ho più niente e non sono più di nessuno”, ci sentiamo un po’ tutti “orfani di appartenenza”. Sentiamo tutti il desiderio di appartenere a qualcuno, di sentire che altri ci accolgono, che ci vogliono bene, di appartenere ad una grande famiglia.
Ma il nostro amico Gaber fa un passaggio oltre. Ci dice “L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé”. È fare spazio dentro di se agli altri. Non è semplicemente un ricercare affetti, ma dare Affetto. Non è solamente ricercare un luogo di accoglienza per i nostri bisogni, ma è dare risposta ai bisogni degli altri: tutto ciò diventa una scambio di appartenenze. Tu mi appartieni, io ti appartengo. È in questo reciproco “I Care” – mi interessa, mi sta a cuore – don milaniano che si costruisce il nostro oratorio.
Il fare, o meglio il richiedere di fare la Tessera è voler far entrare gli altri nella nostra vita e noi entrare, in punta di piedi, delicatamente, nella vita degli altri, e permettetemi anche nella vita dei salesiani, perché anche essi sono “umanità” come tutti.
Fare la Tessera dell’Oratorio non è “pagare un cifra”, ma è la “cifra (stile) che paga” con l’amore ogni nostra relazione.
La Tessera dell’Oratorio diventa così UNO dei Segni concreti, solidi, visibili, contro il liquidume delle relazioni che il mondo ci impone di avere.
È fare entrare gli altri dentro di sé.
Concludo, senza concludere ma lasciandovi il testo intero della canzone di Gaber che spero vi piaccia.
L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell’amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare
la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po’ della mia vita
ma piano piano il mio destino
é andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.
L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male
e non gli basta esser civile.
E’ quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale
con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.
Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l’abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo un posto più sincero
dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.
L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
è un’esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.
Vi abbraccio con affetto, don Max