Appartenenti e non Apparenti
Cari amici e amiche,
eccomi di nuovo qui davanti al computer a scrivervi in questo nuovo inizio di Anno Pastorale, Anno Parrocchiale e Oratoriano.
Un nuovo anno che spero desideriamo tutti cominciare con tanto entusiasmo.
Il messaggio che desidero lasciarvi vuole essere, come un po’ mio solito, un gioco di parole tra loro assonanti ma discordanti nel loro significato: Appartenenti e Non Apparenti.
Per spiegarvi quello che mi frulla più nel cuore che nella testa, chiedo aiuto a Don Bosco, prendendo dalle “Memorie dell’Oratorio” un piccolo fattarello che già conoscete, ma che a me, ogni volta che lo rileggo mette tanta tenerezza. Ma facciamo parlare lo stesso Don Bosco: “Una piovosa sera di maggio bussò alla nostra porta un ragazzo di 15 anni, tutto bagnato e intirizzito. Ci chiese pane e ospitalità. Mia madre lo fece entrare in cucina, vicino al focolare. Mentre si scaldava e si asciugava, gli diede pane e minestra. Intanto gli domandai se era andato a scuola, se aveva parenti, che mestiere faceva. Mi rispose:
– Sono un povero orfano. Vengo dalla Valsesia a cercare lavoro. Avevo tre lire, ma le ho spese tutte e non ho trovato lavoro. Adesso non ho più niente e non sono più di nessuno.
– Hai già fatto la prima Comunione?
– No.
– E la Cresima?
– Nemmeno.
– Sei già andato a confessarti? – Qualche volta.
– E adesso dove vuoi andare?
– Non lo so. Per carità, lasciatemi passare la notte in un angolo.
Silenziosamente si mise a piangere. Anche mia madre piangeva, e io ero profondamente turbato.
– Se sapessi che non sei un ladro, ti terrei. Ma degli altri ragazzi mi hanno portato via le coperte, e forse tu farai come loro.
– No, signore. Stia tranquillo. Io sono povero ma non ho mai rubato.
– Se sei d’accordo – disse mia madre – per questa notte lo faccio dormire qui. Domani Dio provvederà.
– Qui dove? – In cucina. – E se porta via le pentole?
– Farò in maniera che non succeda. – Allora d’accordo.
Aiutata dal ragazzo, mia mamma usci fuori e raccolse dei mezzi mattoni. Li portò dentro, fece quattro pilastrini, vi distese alcune assi, mise sopra un pagliericcio e preparò così il primo letto dell’Oratorio. La mia buona mamma, a questo punto, fece a quel ragazzo un discorsetto sulla necessità del lavoro, dell’onestà e della religione. Poi lo invitò a recitare le preghiere.
– Non le so – rispose.
– Allora le reciterai con noi – gli disse. E pregammo insieme.
Per non correre pericoli, la cucina fu chiusa a chiave fino al mattino dopo.
Questo fu il primo ragazzo ospitato nella nostra casa. A lui se ne aggiunse presto un secondo, e poi altri. Ma in quell’anno, 1847, per mancanza di spazio, abbiamo dovuto limitarci a due”.
Quella frase detta da quel povero ragazzo è un vero pugno nello stomaco: “Adesso non ho più niente e non sono più di nessuno”. Non avere più niente e non essere di nessuno, penso possano essere le cose più brutte che possano accadere nella vita di una persona: non avere niente di materiale; non avere un rifugio, un lavoro, una istruzione, una scuola, una CASA e non avere un amico, un parente, qualcuno che ti voglia bene, degli affetti, insomma non avere una FAMIGLIA, possano davvero essere le caratteristiche evangeliche del “BEATI I POVERI perché di essi è il Regno dei Cieli”.
Il non APPARTENERE A NESSUNO, deve essere la cosa più triste che possa accadere ad un uomo.
Ecco che Don Bosco ha voluto dare una APPARTENENZA a quei ragazzi del suo tempo e ai ragazzi di oggi: ha voluto dare una CASA (Oratorio; Parrocchia) e una FAMIGLIA (Comunità).
Ecco che Appartenere a qualcuno ci fa sentire amati, voluti, cercati. Ecco che Appartenere a qualcuno ci fa sentire che siamo non Ospiti, ma “gente di casa”. Ecco allora il nostro anche vivere il piccolo segno del Tesseramento, che diventa il “traghetto” che ci porta dalla Soglia di Casa a Dentro la Casa.
Questo però non deve essere una cosa APPARENTE, ma deve diventare il Desiderio di tutti: Appartenenti e Non Apparenti.
Noi che viviamo da tanto tempo nella Casa di Don Bosco, dobbiamo uscire dal “Sembrare per finta” parte della Famiglia di Don Bosco a “Esserne” parte. D’altra parte anche la stessa parola Apparenza nei suoi sinonimi traduce “Esteriorità”. Dobbiamo uscire dalla nostra Esteriorità: cioè Entrare dentro il vissuto della Comunità “Parrocchiale/Oratoriana” abbandonando la facile delega del “tanto ci sono altri che fanno e pensano”. Tutti siamo chiamati ad APPARTENERE E NON A FARE SOLO APPARENZA, tutti siamo chiamati a fare parte di questa grande e bella famiglia che è il “Don Bosco”, perché più siamo più amiamo, e più possiamo accogliere chi ancora si sente di “nessuno”.
Carissimi amici e amiche, noi salesiani vi aspettiamo, vi convochiamo nella nostra bella “casa”, fate il passo di passare la soglia e allargare la famiglia. Spendiamo per i giovani, i poveri, gli ultimi del nostro territorio un po’ del nostro preziosissimo tempo, sapendo che “chi dona al povero fa un prestito a Dio”. Mettiamo al Servizio degli altri, troviamo il tempo! Anche voi Giovani che siete “la parte più preziosa e delicata dell’umana società“ (Don Bosco) abbiate il coraggio e l’entusiasmo di uscire dalla trappola obelicale del “chi sono io” al “per chi sono io”, donate le vostre energie, le vostre qualità, il tempo e il cuore agli altri giovani. E aiutiamo tutti i giovani a varcare la soglia dell’Oratorio per a vivere assieme la Casa di Don Bosco, e così più nessuno possa dire “io non sono di nessuno”. Passiamo tutti dalla Apparenza alla Appartenenza.
Vi abbraccio con affetto
Don Max